obesità – Tiziana Persico https://www.tizianapersico.com Biologa nutrizionista Mon, 21 Jun 2021 18:05:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.6 https://www.tizianapersico.com/wp-content/uploads/2018/10/cropped-favicon-32x32.jpg obesità – Tiziana Persico https://www.tizianapersico.com 32 32 SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO https://www.tizianapersico.com/2021/02/19/sindromedellovaiopolicistico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sindromedellovaiopolicistico https://www.tizianapersico.com/2021/02/19/sindromedellovaiopolicistico/#respond Fri, 19 Feb 2021 06:45:00 +0000 https://www.tizianapersico.com/?p=2698 Il 7 % delle donne in età fertile soffre di SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO,  e risulta essere tra le patologie che maggiormente compromettono la fertilità femminile.

NON SOLO. Insulino-resistenza, obesità e problemi cardiovascolari, inclusa una litania di altri problemi di salute. La PCOS è uno stato steroideo poligenico, polifattoriale, sistemico, infiammatorio, disregolato, che si manifesta in gran parte a causa di …

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Il 7 % delle donne in età fertile soffre di SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO,  e risulta essere tra le patologie che maggiormente compromettono la fertilità femminile.

NON SOLO.
Insulino-resistenza, obesità e problemi cardiovascolari, inclusa una litania di altri problemi di salute.
La PCOS è uno stato steroideo poligenico, polifattoriale, sistemico, infiammatorio, disregolato, che si manifesta in gran parte a causa di errori dello stile di vita. ( eccallà) .
Questa patologia non determina SOLO un’irregolarità del ciclo mestruale, ma coinvolge tutto il sistema endocrino, determinando alterazioni dello stato metabolico e biochimico della donna.

E come tutti gli spiegoni che si rispettino su questo blog, partiamo con un pò di storia, quindi alzate il volume e fate partire l’aria sulla quarta corda di J.S.Bach. 

La PCOS è stata descritta per la prima volta nel 1935 da Stein e Leventhal, da cui inizialmente prendeva il nome, come una sindrome di oligo-amenorrea e ovaie policistiche che era variamente accompagnata da irsutismo, acne e obesità . 

Tra il 1989-1995 si ipotizzò  derivare da iperandrogenismo ovarico funzionale (FOH) a causa della disregolazione della secrezione androgenica
Studi successivi hanno supportato e amplificato questa ipotesi ed i criteri diagnostici che permettono al medico, ginecologo o endocrinologo, di diagnosticare la sindrome dell’ovaio policistico, sono diversi:

  • OLIGOMENORREA O AMENORREA
    Sappiamo che sono due cose differenti e le spieghiamo nel dettaglio.
    L’amenorrea è uno stato patologico, e quindi non fisiologico, in cui si ha l’assenza del ciclo mestruale, per un periodo superiore ai 3 mesi, e che persiste nel tempo.
    In caso di oligomenorrea,invece, si ha l’assenza di ciclo per 35 giorni, fino ad un massimo di 3 mesi, quindi parliamo di un’irregolarità del ciclo, molto diversa rispetto all’amenorrea.
    Voglio sottolineare anche , e spesso capita di avere in studio delle pazienti che mi riferiscono che il ciclo salta. I ginecologi affermano che in maniera abbastanza naturale, il ciclo può saltare fino a due volte l’anno, ma è ovvio che laddove questo accade con frequenza durante l’anno, è premura della paziente indagare questa problematica ginecologica.
  • IPERANDROGENISMO: parliamo di iperandrogenismo quando si presenta una situazione clinica e biochimica di eccesso di androgeni, che comporta ad esempio ad irsutismo, acne , eccesso di testosterone, oppure prolattina.
  • CISTI OVARICHE: la presenza di cisti ovariche , e la presenza di uno degli due crititeri diagnostici, permettono al ginecologo, o all’endocrinologo, attraverso un esame ecografico, di fare diagnosi di :
    SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO

Ma, c’è sempre un ma…

La diagnosi tendenzialmente differisce a seconda delle considerazioni che il medico fa durante la visita, molto spesso tendono ad escludere la PCOS, laddove non c’è iperandrogenismo, ma amenorrea, o oligomenorrea con presenza di cisti ovariche, senza segni di iperandrogenismo si tende a parlare di ovaio multifollicolare o di problemi ginecologici di natura inferiore, ma non di ovaio policistico. Questo però non dimentichiamolo mai, sta al medico deciderlo!!

Sono due, le conferenze internazionali che  hanno sviluppato criteri diagnostici di cui vi parlavo in precedenza.

  • I criteri di Rotterdam,  più ampi e comprendono tutte le combinazioni di prove cliniche o biochimiche altrimenti inspiegabili di iperandrogenismo, prove di oligo-anovulazione e PCOM
  • I criteri della Androgen Excess-PCOS Society (AE-PCOS) (2006) che invece comprendono l’iperandrogenismo altrimenti inspiegabile con oligo-anovulazione o PCOM (28).
    Ciò consente una diagnosi di PCOS nelle donne con iperandrogenismo prive di sintomi anovulatori (“PCOS ovulatoria”), che comprende circa il 10% dei casi.

Quindi, qual è il quadro clinico di una donna che soffre di ovaio policistico?

Abbiamo parlato di un’iperproduzione di androgeni o di estrogeni da parte delle ovaie il che determina un’alterazione delle gonadotropine, in particolare un aumento dell’ LH e una diminuzione di FSH che sono i due “pro-ormoni” (tra virgolette) a livello dell’ipofisi che andrebbero a stimolare poi la produzione delle ovaie.

L’iperinsulinemia , che è una conseguenza di questa alterazione, che ovviamente, può determinare  da una parte l’accumulo di tessuto adiposo a livello della parte addominale, determinando un aspetto tipico definito “a mela”, dall’altra ovviamente alterazioni biochimiche come  dislipidemie e quindi elevati livello di colesterolo, LDL e trigliceridi, determinando quindi in queste donne un maggior rischio di patologie cardiovascolari.

D’altra parte potremmo avere anche un aumento del testosterone e di altri ormoni (androstenedione, DHEA) e una diminuzione delle globuline che legano gli ormoni sessuali. 

Un ciclo mestruale inizia con il 1° giorno del ciclo e termina con l’inizio del ciclo successivo.
Un intero ciclo mestruale di solito dura tra i 24 ei 38 giorni , ma la durata può variare da ciclo a ciclo e può anche cambiare nel corso degli anni, cambia tra il menarca, quando il ciclo inizia durante la pubertà, e la menopausa, quando il ciclo si ferma definitivamente.

Durante il periodo della mestruazione, la ghiandola pituitaria,una piccola area alla base del cervello, produce un ormone chiamato ormone follicolo stimolante (FSH), il quale dice alle ovaie di preparare un uovo per l’ovulazione.
Durante il ciclo mestruale, ci sono più follicoli, delle vere e proprie sacche piene di liquido contenenti uova, in ciascuna ovaia a diversi stadi di sviluppo.

Circa a metà della fase follicolare, proprio quando il periodo mestruale sta finendo, un follicolo in una delle ovaie è il più grande di tutti i follicoli a circa 1 cm . Questo follicolo diventa il follicolo dominante ed è quello preparato per essere rilasciato durante l’ovulazione. Il follicolo dominante produce estrogeni mentre cresce, e raggiunge il picco appena prima che avvenga l’ovulazione.
Per la maggior parte delle persone, la fase follicolare dura 10-22 giorni, ma può variare da ciclo a ciclo

Mentre le ovaie stanno lavorando allo sviluppo dei follicoli contenenti uova, l’utero risponde agli estrogeni prodotti dai follicoli, ricostruendo il rivestimento che è stato appena versato durante l’ultimo periodo. Questa è chiamata fase proliferativa perché l’endometrio, il rivestimento dell’utero, diventa più spesso. L’endometrio è più sottile durante la mestruazione e si ispessisce durante questa fase fino a quando si verifica l’ovulazione.

L’utero fa questo per creare un luogo in cui un potenziale ovulo fecondato può impiantarsi e crescere.
Il follicolo dominante nell’ovaio produce sempre più estrogeni man mano che diventa più grande. Il follicolo dominante raggiunge circa 2 cm.
Quando i livelli di estrogeni sono abbastanza alti, lo segnalano al cervello causando un aumento dell’ormone luteinizzante (LH). Questo picco è ciò che provoca l’ovulazione, ovvero il rilascio dell’uovo dall’ovaio.

Una volta che si verifica l’ovulazione, il follicolo che conteneva l’uovo si trasforma in corpo luteo e inizia a produrre progesterone e estrogeni.
I livelli di progesterone raggiungono il picco circa a metà di questa fase. I cambiamenti ormonali della fase luteale sono associati a sintomi premestruali, come cambiamenti di umore, mal di testa, acne, gonfiore e tensione mammaria, di cui abbiamo parlato qui.

Se un uovo viene fecondato, il progesterone dal corpo luteo supporta l’inizio della gravidanza.
Se non si verifica alcuna fecondazione, il corpo luteo inizierà a degradarsi tra 9 e 11 giorni dopo l’ovulazione. Ciò si traduce in un calo dei livelli di estrogeni e progesterone, che causa le mestruazioni, e il tutto ricomincia .

Ritorniamo alla SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO.
Era fondamentale spiegare come funziona il ciclo mestruale per capire quali sono le falle che si verificano in presenza di PCOS.
Infatti in PCOS il rialzo dell’LH non c’è solo in concomitanza dell’ovulazione, ma c’è più volte durante il ciclo mestruale e questo porta a non avere ovulazione, che di solito è uno dei primi motivi che porta ad infertilità.
Inoltre abbiamo uno sbilanciamento degli estrogeni e del progesterone.

Abbiamo parlato di iperinsulinemia, o per meglio dire di insulino -resistenza, ma la condizione di insulino-resistenza, non interessa la totalità dei casi, inoltre più che di insulino-resistenza si parla di minore tolleranza glucidica, che interessa il 40% delle donne affette da PCOS.
La cosa certa è che il meccanismo con cui si instaura l’insulino resistenza nella paziente affetta da PCOS, è diverso rispetto all’obesità.
Ovvero, biochimicamente si pensa l’insulino resistenza in PCOS, è dovuta ad un’alterazione della fosforilazione del recettore dell’insulina, che determina a valle un’errata trasduzione del segnale da parte dei trasportatori del glucosio.

Eh dottorè parlate chiaro, che vuol dire?

Vuol dire che , il glucosio per essere trasportato nel circolo ematico, ha bisogno di un accompagnatore.
Questo accompagnatore, viene reclutato da un’agenzia come quelle che scelgono le maschere alla prima de La Scala.
Quest’agenzia , è il recettore dell’insulina, che una volta immesso sulla membrana delle cellule invia messaggi per ‘far portare sotto braccio’ il glucosio.
Nelle donne con PCOS non avviene come dovrebbe , e ciò determina una bassa tolleranza glucidica, in cui però la glicemia è a livelli normali.

Quali sono quindi le strategie nutrizionali?

Partiamo da lontano, come sempre!
In generale l’alimentazione non cura, ma sicuramente migliora la sintomatologia e le manifestazioni correlate alla PCOS.
La strategia da attuare è quella di ottimizzare sicuramente l’aspetto nutrizionale, ai fini di migliorare l’assetto ormonale.

  • Stilando un piano nutrizionale utile ai fabbisogni della persona, al suo stile di vita, evitando la solita tiritera dell’eliminazione ‘ad capocchiam’ di alimenti , perchè al momento non ci sono studi a supporto di questo.
  • E’ ovvio che le linee guida per una sana alimentazione(LARN)  devono essere sempre il principio cardine per stilare il piano nutrizionale, ed è quindi ovvio che anche per una donna affetta da PCOS è utile
    – Incrementare il consumo di frutta e verdura
    – Consumare cereali in chicco ed integrali, i legumi ed alimenti naturalmente ricchi di fibra
  • Controllare il peso, e laddove ve ne fosse bisogno, ripristinare il peso al normopeso, attraverso una strategia alimentare più utile alla donna in questione ( ovviamente inutile dirvi che non sono ammessi i fai da te)
  • Migliorare la qualità degli alimenti , educando la paziente a delle scelte più consapevoli, evitando alimenti processati, conservati, ricchi di sale, zucchero, e grassi saturi( approfondisco più avanti)
  • La ‘dieta’ a basso indice glicemico può una avere rilevanza nella scelta qualitativa degli alimenti, ma bisogna spiegare alla paziente che è il carico glicemico del pasto, più che l’indice glicemico del singolo alimento ad essere rilevante , ma piuttosto, è utile per le pazienti non dissociare, ovvero mangiare il primo a pranzo ed il secondo a cena. 
  • Ogni pasto quindi ,dovrebbe contenere carboidrati complessi, grassi, proteine, e fibre, che giocano un ruolo importantissimo nella gestione glicemica.
  • E’ importante limitare però i grassi saturi, prediligendo le fonti di grassi vegetali e quelli di derivazione della carni ittiche(omega3)
    I grassi sono fondamentali per il buon funzionamento delle membrane cellulari, per permettere l’assorbimento di micronutrienti come i complessi vitaminici, ed è quindi essenziale non farne a meno , soprattutto, dell’olio extravergine d’oliva, che risulta essere un alimento ricco di sostanze utili al buon funzionamento del nostro organismo, come i grassi omega 3, che bisogna bilanciare in maniera ottimale con gli omega6.
  • E’ opportuno limitare insaccati, salumi e formaggi, e non eccedere nelle preparazioni complesse in cui utilizziamo fonti di grassi saturi, o andiamo ben oltre il punto di fumo dell’olio in questione.
  • Limitare gli zuccheri semplici, e questo si sa, sono raccomandazioni che l’OMS da a tutti.
  • Ridurre il consumo di sale, che è anche  un fattore predisponente l’aumento della pressione arteriosa.
  • Ripartire le giornate rispettando i ritmi circadiani , lo stile di vita della paziente, e il timing dei nutrienti.
  • Ovviamente non deve mancare l’attività sportiva

Ed i farmaci? E gli integratori? E la pillola?

Sottolineando che questo spetta al medico, i contraccettivi orali rappresentano la strategia terapeutica più utilizzata, che determinano un miglioramento della regolarità del ciclo, che però tende a ritornare come prima, se non a peggiorare, nel momento in cui la paziente affetta da PCOS la sospende.
Infatti diversi studi osservazionali, dimostrano come l’assunzione dei COC, contraccettivi orali, migliori l’irsutismo, ma che questi miglioramenti non sono definitivi.
Non ci sono studi che dimostrano invece che l’assunzione di COC migliori il quadro insulinemico, ed anzi si associa ad un aumento dei livelli circolanti di colesterolo, ed in particolare di LDL, e trigliceridi.
In molti casi viene utilizzata la metformina, la cui prescrizione, ripeto, è sotto stretta competenza del medico, e che viene utilizzata come strategia per ridurre indirettamente la secrezione dell’insulina, migliorando anche i livelli di testosterone libero , aumentando le globuline leganti gli ormoni sessuali ( SHBG), e l’ovulazione.

Quando si parla di PCOS, si parla molto di INOSITOLO. Abbiamo parlato di come la PCOS spesso induce a resistenza insulinica, e in ultima istanza al diabete di tipo 2.
Abbiamo parlato di metformina, ma poiché la metformina spesso induce effetti collaterali, sono state proposte nuove strategie integrative per trattare la resistenza all’insulina, come l’uso di inositoli, che in particolare regolano l’ormone stimolante la tiroide (TSH), l’FSH e l’insulina.
Diversi studi preliminari hanno però indicato i possibili benefici della terapia con inositolo nei pazienti con PCOS, ma ad oggi non è stata eseguita alcuna meta-analisi. 
Attualmente la ricerca è in espansione e sta prendendo in considerazione anche altre sostanze che in un futuro potranno associarsi e/o sostituirsi alle terapie attuali.

Concludendo.
Solo il lavoro di equipe, in cui il medico, ginecologo e/o endrocrinologo, il nutrizionista, ed il paziente, cooperando insieme, può migliorare il quadro clinico della paziente affetta da PCOS.

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Lo so , quando si parla di malattie ‘serie’ , è sempre molto difficile. Siamo abituati a vedere la nutrizione come mera soluzione al dimagrimento ‘localizzato’, ma commettiamo due errori quando pronunZiamo questa frase.

Non esiste il dimagrimento localizzato, e nessuna dieta è atta a permettere una simile ‘sciocchezza’ RipetendoVI che …

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Come la nutrizione può prevenire le malattie neurodegenerative

Lo so , quando si parla di malattie ‘serie’ , è sempre molto difficile.
Siamo abituati a vedere la nutrizione come mera soluzione al dimagrimento ‘localizzato’, ma commettiamo due errori quando pronunZiamo questa frase.

  1. Non esiste il dimagrimento localizzato, e nessuna dieta è atta a permettere una simile ‘sciocchezza’
  2. RipetendoVI che è una sciocchezza pensare che la nutrizione, la scienza dell’alimentazione, possa permettere alle persone solo di dimagrire, e quindi non può essere utile in altri campi.

Mi spiego meglio.
Anni addietro, quando ci si presentava dal medico di famiglia, era lo stesso medico che molto spesso, per tantissimi tipi di patologie e disturbi,  non sempre legati all’alimentazione, consigliava di ‘mettersi a dieta’, ovvero di assumere uno stile di vita sano.

Questo perché? Perché poteva migliorare la sintomatologia e/o i disturbi legati ad una patologia, ad esempio colon irritabile, un post operatorio, l’influenza virale, un periodo di stress.
Col tempo invece, e soprattutto con l’avanzare delle metodiche comunicative, la nutrizione, e quindi anche la scienza ad essa affine ( la scienza dell’alimentazione, che ricordo essere parte integrante della scienza medica), è passata ad essere semplicemente un fine che giustificava IL DIMAGRIMENTO!

Ma non è cosi, e adesso vi spiego perché!!!
Sono mesi che questo articolo deve essere pubblicato, ed ogni volta faccio un passo indietro.
Lo faccio perché quello che sto per trattare è un argomento delicato, un argomento che sembra una sabbia mobile, nella quale non sai se riuscirai ad uscirne velocemente, o andare a fondo della situazione.

Perché?
Perché è un terreno inesplorato, un terreno che non è molto conosciuto di cui  non si sa ancora ora bene NIENTE!!!
Ma andiamo con calma.

Vi ho sempre elencato i mille benefici di uno stile sano, consapevole, questo stile in cui è compreso il mangiare cibo salutare, fare sport.
Ma tutto questo può davvero prevenire delle malattie?

In generale quando parliamo di malattie, dobbiamo sempre parlare di prevenzione, e in generale se esistono dei modi per prevenire le malattie, dovremmo metterli in pratica, perché come dice la nota pubblicità: prevenire è meglio che curare e quindi si, a volte la nutrizione può prevenire e rallentare la progressione delle malattie, come nel caso del diabete.

Ma perché vi parlo di malattie neurodegenerative, e di diabete?
Cosa collega queste malattie tra di loro e soprattutto alla nutrizione?
Piano piano, ci arriviamo.

Prima di tutto uno dei motivi è che l’obesità è una delle cause per cui si scatenano queste patologie, che potremmo dire quindi che sono le ‘conseguenze’
Ma andiamo per gradi, con le definizioni. Partiamo da cos’è una malattia neurodegenerativa.

Spiegone scientifico

Le MALATTIE NEURODEGENERATIVE sono malattie , al momento incurabili ed invalidanti, che portano alla progressiva degenerazione e morte dei neuroni.
Parkinson e Alzherimer sono le malattie più frequenti, ed in particolare la malattia di Alzheimer (AD), di cui voglio parlarvi,  è una malattia neurodegenerativa con andamento crescente con l’invecchiamento della popolazione globale.

La malattia di Alzheimer (AD), è la forma più comune di demenza, è un problema crescente negli Stati Uniti e nel mondo. Nel DSM-5 viene nominata come disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Alzheimer .
Si prevede che entro il 2050, quasi 15 milioni di persone di età superiore ai 65 anni che vivono negli Stati Uniti avranno AD, quasi il triplicare il numero che la malattia attualmente colpisce .

Quali sono i segni distintivi di questa malattia? Dividiamoli in segnali e clinica della malattia:

Segnali:

  • La perdita di memoria che sconvolge la vita quotidiana
  • Confusione con tempi o luoghi
  • Problemi con le parole nel parlare o nello scrivere
  • Cambiamenti di umore e di personalità

Nella clinica, e quindi nel diagnosticare, da parte dei medici,  la malattia ritroviamo:

  • Alterato metabolismo del glucosio
  • Disfunzione mitocondriale
  • Amiloide-β (Aβ) e grovigli di tau e moderni segni distintivi bioenergetica

Che cosa vuol dire? Ve lo spiego più avanti, ma è importante capire che tutto ciò progredisce man mano che avanza la malattia passando dalla prima fase, in cui non è presente nessuna disabilità, in cui la persona non soffre di problemi di memoria, per passare ad un declino cognitivo, che avanza portando ad un aumento delle difficoltà e le fasi tra di loro si sovrappongono , la persona perde la capacità di rispondere al suo ambiente, di portare avanti una conversazione e, in seguito, di controllare i movimenti, ed è necessario molto l’aiuto nella cura personale quotidiana, tra cui mangiare o andare in bagno, perché  i muscoli diventano rigidi e la deglutizione diventa compromessa.

Ma ritorniamo alla clinica, parlavamo di
ALTERATO METABOLISMO DEL GLUCOSIO

Vi ricorda qualcosa?
Si , il diabete, di cui abbiamo parlato proprio qualche settimana fa qui.
Perché vi parlo di diabete?
Perché l’Alzheimer è considerato il diabete di tipo 3 , in America si parla moltissimo di questa associazione, in Italia forse un pò meno, infatti nei soggetti affetti da Alzheimer c’è un aumento della concentrazione celebrale di fattori ,che aumentano quando è in corso un’infiammazione ( TNF alfa) , soprattutto in presenza di iperinsulinemia e obesità, determinando la formazione delle placche amiloidi, tipiche dell’Alzheimer.

Cosa accade?

Spiegone

(ragazzi, queste so cose serie non te dimagranti il sale nelle zucche vuote, quindi di spiegoni, non ne abbiamo mai abbastanza!!!!)
Il fegato che ha il ruolo di veicolare il glucosio, in soggetti obesi e in sovrappeso, può evolvere in un fegato steotosico, ovvero fegato grasso, che chiude le porte all’insulina, determinando l’insulina resistenza, che si trasmette anche al cervello , in particolare nella regione dell’ippocampo, dove vengono ad essere presenti i processi di memorizzazione.
Quando questi centri neurali diventano insulina resistenti perdono le connessioni nervose , determinando quindi la perdita della memoria, perdita di neuroni, e quindi : la demenza conclamata.

Il cervello richiede un flusso di energia sostanziale che, in condizioni normali, è fornito dal glucosio.
Nei pazienti con AD si hanno costantemente riduzioni nell’utilizzo cerebrale del glucosio, che è correlato alla gravità del deterioramento cognitivo.

I trattamenti attualmente disponibili per l’AD hanno un’efficacia minima e non esistono trattamenti comprovati per il suo prodromo e la lieve compromissione cognitiva.

È in corso una ricerca a livello mondiale per trovare nuovi metodi di trattamento e soprattutto prevenzione, e, in ultima analisi, una cura per il morbo di Alzheimer e le altre demenze progressive.
Oggi, i trattamenti si rivolgono solamente ai sintomi del morbo di Alzheimer, ovvero quando la malattia ormai è già in atto.
Tuttavia gli scienziati continuano a studiare modi per fermare o rallentare l’avanzamento della malattia, identificare i fattori di rischio e migliorare la capacità di diagnosticare il morbo di Alzheimer in una fase precoce del processo della malattia.

Attualmente, ci sono cinque farmaci per l’Alzheimer approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti che trattano i sintomi della malattia di Alzheimer – aiutando temporaneamente i problemi di memoria e di pensiero con un sesto farmaco disponibile a livello globale. Tuttavia, questi farmaci non trattano le cause sottostanti della malattia né ne rallentano la progressione.

Molti farmaci in via di sviluppo mirano a interrompere il processo patologico stesso influenzando uno o più dei cambiamenti cerebrali associati all’Alzheimer. Questi cambiamenti offrono potenziali obiettivi per i nuovi farmaci per rallentare o fermare il progresso della malattia. I ricercatori ritengono che un trattamento efficace comporterà alla fine una combinazione di farmaci mirati a diversi obiettivi, in modo simile ai trattamenti attuali per molti tumori e AIDS.

Vi ho parlato di riduzione dell’utilizzo del glucosio cerebrale, questo segno distintivo coerente nei pazienti con AD, si è pensato che possa essere utilizzato come trattamento per i pazienti, perché tuttavia, l’evidenza suggerisce che il metabolismo dei chetoni cerebrali rimane intatto, quindi, vi è un grande interesse per il potenziale valore delle terapie che inducono i chetoni per il trattamento di AD.

Gli studi condotti su un modello animale di malattia di Alzheimer indicano un possibile effetto benefico della chetogenica, perchè sembra ridurre i volumi di beta amiloide. L’attività principale della dieta chetogenica è stata correlata al miglioramento della funzione mitocondriale e alla riduzione dello stress ossidativo.

Inoltre la restrizione dei carboidrati di una KD impedisce l’aumento post-prandiale dell‘insulina circolante, a sua volta segnalando la sovraregolazione della carnitina palmitoiltransferasi (CPT) per facilitare la traslocazione degli acidi grassi nei mitocondri per la β-ossidazione e la sintesi dei corpi chetonici.

Infatti il cervello utilizza i corpi chetonici come substrato energetico quando disponibile (leggi articolo sulla dieta chetogenica qui) e il metabolismo dei chetoni cerebrali non si deteriora nell’AD,  suggerendo un ruolo per gli approcci neurochetoterapeutici (NKT) che inducono il chetone nel trattamento dell’AD. (ma è tutto in FORSE)

Ma, perché c’è sempre un ma, le persone con malattie neurodegenerative sono soggette a malnutrizione, e la riduzione dell’assunzione di cibo è associata a sintomi di malattia, perchè come detto precedentemente, hanno problemi nella deglutizione, nella masticazione.

A sua volta, la dieta chetogenica porta ad un appetito ridotto, anche se la formulazione della stessa non deve essere per forza di cose ipocalorica, spesso per molti non è attraente dal punto di vista organolettico e può essere accompagnata da effetti collaterali del sistema gastrointestinale. Tutto ciò può portare ad un ulteriore abbassamento delle porzioni di cibo consumato da parte di persone anziane con malattie neurodegenerative e, di conseguenza, a un’ulteriore riduzione dei nutrienti dalla dieta. Non sono quindi disponibili dati sull’applicazione a lungo termine della dieta chetogenica in pazienti con malattia neurodegenerativa o dati sui suoi effetti sui sintomi della malattia.

>>>I risultati ottenuti finora applicando la dieta chetogenica al trattamento di diverse malattie neurologiche sembrano essere particolarmente interessanti per il recupero delle funzioni cognitive, sebbene siano numericamente limitati.

>>>I pochi studi condotti sugli esseri umani finora disponibili si basano su un progetto pre / post ma senza un gruppo di controllo di riferimento e senza randomizzazione, e questo è molto importante negli studi scientifici, per avere prova che determinate terapie effettivamente funzionano.

>>Di particolare interesse sono stati gli studi che hanno correlato l’introduzione della dieta chetogenica ad un miglioramento del vocabolario ricettivo verbale e del tempo di reazione nei bambini affetti da epilessia, nonché un miglioramento dell’attenzione e della memoria nei pazienti affetti da sclerosi multipla.

E la DIETA MEDITERRANEA??

Applicare le regole di una dieta mediterranea, ovvero quella che prevede l’utilizzo di alimenti del bacino del mediterraneo ricchi di grassi omega 3 utili allo sviluppo e al benessere neurologico, permette di abbassare i tassi di proteina beta-amiloide nel sangue.
Quando parlo di dieta mediterranea io non parlo di percentuali di macro nutrienti, ma di alimenti, ovvero pesce, legumi, olio extravergine d’oliva, cereali in particolare una dieta ricca in fibre,  che permettono di prevenire , per la loro ricchezza in molecole antiossidanti, vitamine le malattie metaboliche, il rischio cardio vascolare e l’invecchiamento cellulare, e quindi sono di fondamentale importanza in una malattia neurodegenerativa.

Concludo quindi che , purtroppo ad oggi una vera cura non c’è ed il ruolo dell’alimentazione è  quello di prevenire queste malattie, prevenendo una delle cause maggior che permettono l’avanzare delle malattie metaboliche, ovvero l’OBESITA’.
E quindi ritornando all’incipit dell’articolo
: la nutrizione, uno stile di vita sano, lo sport possono essere utili prevenire malattie serie, non solo per DIMAGRIRE.
Nutritevi in maniera sana, nutrite il corpo e la mente.

Ci tengo a dire una cosa mooooolto importante.
Questo articolo è stato frutto di un lavoro molto lungo di ricerca.
Quello che vedete scritto, non è la mia opinione, ma è il frutto di studi SCIENTIFICI , di ricercatori che ogni giorno applicano la scienza, quella vera, per migliorare la vita di tutti noi.

Trovate qui tutte le referenze e tutti ( o quasi perché alcuni sicuramente li avrò scordati per strada) articoli scientifici che ho visualizzato.

La scienza non è fatta di dogmi, si aggiorna continuamente, ed io spero che più avanti, questo articolo potrà essere modificato positivamente, leggendo qualche pubblicazione in cui si evince che i trattamenti disponibili per le malattie neurodegenerative hanno efficacia totale.

Link che possono aiutare

References

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  • Cummings, J.; Aisen, P.S.; DuBois, B.; Frolich, L.; Jack, C.R., Jr.; Jones, R.W.; Morris, J.C.; Raskin, J.; Dowsett, S.A.; Scheltens, P. Drug development in Alzheimer’s disease: The path to 2025. Alzheimer’s Res. Ther. 20168, 39. [Google Scholar] [CrossRef] [PubMed]
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